Gestione del dolore radicolare – La guida per il professionista
Il dolore radicolare rappresenta una condizione a volte difficile da gestire.
Nel Regno Unito si è osservato che i costi utilizzati dal servizio sanitario nel gestire le problematiche di “sciatica” ammontano a 500 milioni di sterline. Aiutare questi pazienti risulta difficile a causa dell’intensità del dolore, degli alti livelli di disabilità ed in alcuni casi anche a causa dei pensieri suicidi che ne possono scaturire (1).
Non desta sorpresa il fatto che non esista una cura “rapida e veloce” per questi pazienti ed inoltre le evidenze sulla ottimale gestione di questi pazienti è ancora scarsa. Inoltre, questi pazienti cercano solitamente una chiara ed accurata spiegazione riguardo la diagnosi e la gestione del problema (2). I professionisti sanitari dovrebbero dunque possedere una buona conoscenza delle attuali evidenze presenti riguardo questa problematica.. Questo blog vi potrà aiutare ad assistere i vostri pazienti!
Valutazione terapeutica
La parte 1 di queste 2 parti esplorava la diagnosi differenziale in caso di dolore radicolare. In quel blog abbiamo considerato la valutazione, la patofisiologia e le cause/rischi legate a questa problematica. E’ importante sottolineare che il trattamento e la gestione dei pazienti con dolore radicolare inizia nel momento in cui incontrate il paziente e non al termine della valutazione.
Attraverso una accurata valutazione, ascoltando, entrando in empatia e provando a comprendere la loro esperienza, avete creato le basi per una forte relazione terapeutica. La creazione di un ambiente sicuro e non pregiudizievole risulta essere terapeutico per il paziente ed essenziale per la creazione di una relazione di fiducia. Una volta che la valutazione terapeutica è completata, si può successivamente continuare trattando la persona, e non “solamente” il nervo sciatico.
Educazione
L’educazione ha un ruolo cruciale nella gestione del dolore radicolare. L’educazione può includere consigli riguardo la diagnosi, prognosi, opzioni di trattamento, riduzione dei fattori aggravanti, modificazione dei fattori in rischio, credenze o ansie presenti. Le aspettative riguardanti la prognosi, solitamente favorevole, possono essere settate in maniera ottimistica ma anche realistica. Gli studi hanno riportato che almeno un terzo dei pazienti sviluppa dolore e disabilità persistenti con una durata media di 1-4 anni (3).
Spiegazione del dolore radicolare
In un recente studio, i pazienti credevano che la compressione meccanica fosse l’unica causa del loro dolore e che la chirurgia fosse “l’unica soluzione” (1). È quindi fondamentale che i professionisti spieghino il dolore radicolare in modo individualizzato rispetto al paziente. Ciò può comportare l’uso di un linguaggio e/o terminologia come ad esempio: la radice del nervo che diventa “costretta”, infiammata e sensibile.Se un paziente ha fatto un esame alla schiena ed è preoccupato dei risultati di quest’ultimo, risulta essere utile dare loro una spiegazione comprensibile. I pazienti potrebbero essere rassicurati nel sentirsi dire che più il bulging discale è grande, più alta è la probabilità che venga riassorbito e che il dolore ancora presente dopo il riassorbimento sia dovuto all’aumentata sensitività del nervo (4).
Inoltre può essere utile chiedere al paziente di spiegarci quello che hanno capito del loro problema alla schiena (es. “The Kieran O’ Sullivan Test”) così da poter risolvere possibili incomprensioni.
Per saperne di più su come parlare ai pazienti ed aiutarli a comprendere il loro dolore, guarda la Masterclass di Tom Jesson riguardante la valutazione e gestione del dolore radicolare.
Definizione degli obiettivi e consigli
La definizione degli obiettivi con i pazienti è essenziale per dare una direzione al percorso terapeutico. Gli obiettivi dovrebbero essere specifici rispetto all’individuo e potrebbero differire a seconda della natura del dolore (acuto o cronico). Se la persona sta soffrendo di sintomi persistenti, potrebbe essere utile settare obiettivi che per lui hanno valore e vivere dunque una vita con significato nonostante il dolore, invece di continuare a ricercare una cura. Gli obiettivi di autogestione dovrebbero essere sempre discussi con i pazienti e l’esercizio in questo caso può essere una componente importante.
Exercise and Radicular Pain
La maggior parte della ricerca sul dolore radicolare analizza la stabilizzazione spinale, il controllo motorio o la gestione del tessuto neurale (5). La gestione del tessuto neurale si focalizza sulla meccano-sensitività includendo scorrimenti e tensionamenti del tessuto neurale, i quali possono essere eseguiti indipendentemente o come terapia manuale. Gli esercizi di stabilizzazione spinale invece tipicamente coinvolgono i movimenti di McKenzie (direzione di movimento preferita dal paziente).
I trattamenti che hanno come obiettivo quello di migliorare il controllo motorio e ridurre la meccano-sensitività, sembrano essere migliori nel ridurre il dolore se comparati ad un trattamento minimale o all’assenza di trattamento. L’importanza clinica di questi benefici rimane comunque non pienamente chiara a causa della qualità variabile dei trials. Non ci sono evidenze che esercizi specifici siano superiori all’esercizio generale, creando dunque difficoltà nel fornire chiare raccomandazioni individualizzate (5). Ciò nonostante, alcuni pazienti potrebbero reagire meglio ad alcuni interventi che enfatizzano l’importanza di una cura individualizzata (3).
E’ inoltre interessante osservare che ci sono alcune evidenze le quali suggeriscono che la fisioterapia non comporti maggior beneficio al dolore radicolare se comparata a trattamenti quali l’ibuprofene e la cura da parte del medico di base (4). Alcune tecniche come le trazioni sono spesso “vendute” sostendendo che la trazione applicata alla vertebra può incrementare l’altezza vertebrale permettendo un guadagno in spazio per il disco e dunque facilitando un riassorbimento. Una revisione Cochrane ha mostrato l’assenza di beneficio della trazione da sola o in combinazione con altri trattamenti per quanto riguarda l’intensità del dolore, lo stato funzionale ed il ritorno al lavoro (5).
In alcuni casi può essere utile andare con gradualità… e semplici periodi di riposo possono essere raccomandati come forma di terapia (6); questo non significa che i pazienti non debbano mai fare esercizio. L’esercizio rappresenta un approcio sicuro per questi pazienti, i quali dovrebbero essere incoraggiati a restare attivi e mantenere il loro stato di salute generale, dolore permettendo. E’ importante notare inoltre che la gestione tramite la fisioterapia include non solo la terapia manuale ma anche consigli riguardanti il ritorno al lavoro e l’informazione al paziente sulle opzioni di tipo farmacologico (3).
Farmaci
Per individualizzare la tua cura è essenziale educare il tuo paziente riguardo le opzioni farmacologiche appropriate ed i loro effetti collaterali. Un recente articolo del BMJ raccomandava l’utilizzo dei FANS e paracetamolo come prima linea di trattamento. Se questi dovessero essere inadeguati, farmaci antidepressivi (es. amitriptilina o duloxetina) potrebbero essere l’opzione successiva più appropriata (7). Potrebbe rivelarsi una sorpresa per alcuni non vedere raccomandato l’utilizzo dei gabapentinoidi (es. gabapentin e pregabalin) dato il loro comune utilizzo e la loro reputazione come farmaci efficaci per il dolore neuropatico acuto. Le line guida NICE non raccomandano il loro utilizzo nella gestione della sciatica (8):
“Non offrire gabapentinoidi, altri antiepilettici, corticosteroidi orali o benzodiazepine nella gestione della sciatica in quanto non c’è un’adeguata evidenza riguardo I loro benefici e c’è invece evidenza di possibili effetti nocivi”
Questa conclusione si basa su evidenze di bassa qualità. Come anche per le sopra menzionate evidenze in ambito fisioterapico, le evidenze di interesse farmacologico sono rappresentate da trials misti di qualità variabile. La fisioterapista Michelle Angus ha discusso qui come i gabapentinoidi potrebbero non mostrare il loro effetto a causa dell’eterogeneità dei gruppi, all’interno dei quali alcuni dei soggetti potrebbero non avere dolore neuropatico.
Il meccanismo del dolore è importante da considerare quando si prescrivono farmaci anti-neuropatici, in quanto esso è differente nelle popolazioni con dolore acuto rispetto a quelle con dolore cronico. Ci sono evidenze che mostrano un limitato beneficio dei gabapentinoidi in pazienti che presentano veri sintomi neuropatici, come ad esempio la neuropatia diabetica o la nevralgia trigeminale (9). In assenza di evidenze di alta qualità, potrebbe essere considerato estremo accantonare questi farmaci in caso di sintomi neuropatici severi. Per di più i clinici dvrebbero utilizzare il loro giudizio clinico quando considerano di utilizzare I gabapentinoidi in quanto devono tener conto anche dei loro effetti collaterali ed educare il paziente riguardo le evidenze presenti.
Se la gestione conservativa caratterizzata da educazione, esercizio ed analgesia non migliora il dolore e la disabilità, allora indirizzare il paziente ad uno specialista potrebbe essere consigliato (3).
Iniezioni
Le iniezioni epidurali con corticosteroidi (ESI) è una delle procedure non chirurgiche più comuni in caso di dolore radicolare lombo sacrale. L’obiettivo è iniettare I corticosteroidi direttamente nello spazio epidurale per migliorare il sintomo e la disabilità presente.
Il dolore radicolare può essere una condizione debilitante e le line guida NICE raccomandano l’ESI/anestetici nelle fasi acute. Una recente revisione Cochrane ha concluso che le iniezioni epidurali di corticosteroidi erano “leggermente più efficaci rispetto al placebo per quanto riguarda il dolore alla gamba e la disabilità nel breve termine” (10). Anche se gli effetti avversi sono lievi, anche gli effetti del trattamento lo sono e gli autori hanno concluso che gli ESI potrebbero non essere considerati clinicamente significativi da clinici e pazienti. Una revisione sistematica del 2020 ha concluso che gli ESI migliorano il dolore radicolare lombo sacrale a 3 e 6 mesi se comparati con la cura conservativa (11). L’effetto non era però mantenuto nel lungo termine e non erano presenti differenze per quanto riguarda i miglioramenti della funzione.
Questo significa che dobbiamo rimuovere le iniezioni dalle nostre opzioni di trattamento? Basandosi sull’evidenza di bassa qualità disponibile, potrebbe essere utile considerare queste opzioni ma informare i nostri pazienti riguardo la possibile bassa efficacia. E’ importante notare che più a lungo i sintomi persistono, più bassa è la probabilità che le iniezioni portino ad un beneficio nel paziente. Se un’iniezione non ha migliorato il sintomo di una persona, non è chiaro se il paziente beneficerà o meno dell’intervento.
Chirurgia
La microdiscectomia lombare è la più comune procedura chirurgica utilizzata per migliorare il sintomo in caso di irritazione o compressione della radice nervosa causata da un’ernia discale. Anche se l’evidenza è povera, due revisioni sistematiche hanno mostrato che la chirurgia fornisce una rapida diminuzione del dolore e della disabilità a tre e sei mesi. Detto questo però i pazienti ancora riportavano moderato dolore e disabilità ad uno e due anni dalla chirurgia (12). A rafforzare ciò fisioterapia e chirurgia sembrano fornire outcome simili nel lungo termine (13). Per alcuni individui però il sollievo nel breve termine risulta un aspetto importante da considerare e quindi la terapia più appropriata va sempre considerata, anche per le fasi iniziali.
Come discusso nella masterclass sul dolore radicolare di Tom Jesson, se i sintomi persistono per più di sei mesi la chirurgia potrebbe essere inefficace. E’ quindi di vitale importanza che il clinico educare in maniera appropriata il paziente sul ruolo della chirurgia nel breve, medio e lungo termine e considerare quanto appropriato possa essere l’aproccio “aspettare e vedere” per l’individuo in esame. La gestione conservativa dovrebbe rimanere la prima linea di trattamento ma in casi di progressivi deficit neurologici, sintomi persistenti e mancanza di risposta alla cura conservativa, l’ invio del paziente a chi di dovere per un’opinione chirurgica è raccomandabile (3).
Conclusioni
Per concludere, la miglior forma di trattamento sembra essere la prevenzione. Anche se è impossibile eliminare la probabilità di sviluppare un dolore radicolare, ci sono alcuni fattori di rischio che possiamo modificare per ridurne la probabilità. Questi includono la gestione dello stress, il miglioramento dell’igiene del sonno, la gestione del peso, smettere di fumare, la modificazione degli impieghi lavorativi in caso di lavori manuali (14). Sfortunatamente alcuni individui, anche ottimizzando il loro stile di vita, potranno sviluppare dolore radicolare. Questi sono i casi in cui il clinico può utilizzare le evidenze presentate in questo blog per aiutare il paziente durante il suo percorso di trattamento.
Vuoi saperne di più riguardo il dolore di tipo nervoso?
Tom Jesson ha creato una Masterclass per noi:
“Valutazione e gestione del dolore radicolare”
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